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Il GUS, in ottobre, nell’ambito del progetto intitolato GEA (Global, Green, Generative and Equal Educational Activities), ha promosso a Castrignano dei Greci, in Salento, una residenza con dieci giovani artisti di diversi paesi, dedicata al fumetto e al tema delle discriminazioni. Durante l’intera residenza i giovani hanno potuto confrontarsi con il fumettista Gianluca Costantini, La redazione di Comune ha realizzato questa intervista con Gianluca Costantini, un'occasione per ragionare del workshop, delle difficoltà che si incontrano nel raccontare le discriminazioni, ma anche dell'odiosa vicenda dell'operazione Albania, di Palestina e di accoglienza diffusa.
Gianluca Costantini ha cominciato la sua attività artistico politica raccontando le proteste di strada di Occupy Gezi a Istanbul e quelle di Hong Kong, ma anche le repressioni compiute in Egitto e in Eritrea. Collabora con diverse organizzazioni e festival internazionali impegnati sui temi diritti umani. Insegna arte del fumetto all’accademia di Belle arti di Bologna e ha pubblicato graphic novel e storie brevi in molte lingue. Tra i suoi libri a fumetti Zodiac (Random House), Patrick Zaki, una storia egiziana (Feltrinelli), Julian Assange & WikiLeaks (realizzato con Dario Morgante per Becco giallo). Il suo sito è channeldraw.org
Guarda l'intervista: https://www.youtube.com/watch?v=qwVQH3Qocwo
Qui la versione scritta.
Hai accompagnato tutte le giornate di questo workshop durato alcuni giorni. Che tipo di giovani hai incontrato? Cosa è stato fatto? Come valuti questa esperienza?
Avevamo sperimentato un workshop simile cinque anni fa a Macerata, su un altro tema, cioè le migrazioni. Da quell’esperienza è nato il libro Back way. Viaggi di sola andata con ritorno per la casa editrice Mesogea. Questa volta ci siamo spostati in Puglia, a Castrignano dei greci, dove siamo stati ospiti per una settimana di un bellissimo centro, il Kora, situato in un palazzo detto il castello che accoglie mostre di arte contemporanea, residenze, incontri. Diversi dei giovani che hanno partecipato sono già nel mondo dell’editoria, tutti sono già bravi disegnatori, io li ho soltanto accompagnati, non dovevo insegnare quasi niente. Ho cercato di portarli dentro i temi delle discriminazione in tutte le sue sfaccettature. Per aiutarci il Gus ha organizzato alcuni incontri con persone che lavorano sulle discriminazioni. Il resto del tempo siamo stati dentro questo accogliente palazzo per preparare alcune storie. Speriamo di riuscire a metterle insieme per fare un libro. Ognuno ha scelto una discriminazione, ha raccontato esperienze di vita oppure ha utilizzato il linguaggio simbolico delle metafore: dalle discriminazioni di genere a quelle razziali, ma anche le discriminazioni legate alle invalidità fisiche.
Perché è difficile raccontare le discriminazioni?
Molti non si rendono neanche di essere discriminatori nei confronti di altre persone, a volte sono discriminazioni sottili altre plateali, come il razzismo vero e proprio. In generale credo che nella società italiana la maggior parte delle persone fatica a relazionarsi con le problematiche altrui, non solo con quelle degli stranieri. Si fa fatica soprattutto a mettersi nei panni degli altri e ad accettare le differenze. Inevitabilmente è difficile rappresentare queste situazioni, per altro è molto complicato creare storie con il fumetto senza cadere nel banale o nelle battute tristi. Per questo noi abbiamo cercato di raccontare storie che ci fanno scontrare con le discriminazioni.
Mentre ragionavate di discriminazioni c’è stata l’odioso trasferimento di alcuni migranti in Albania. Il diritto di asilo non sembra godere di buona salute in Italia e in Europa…
È stato particolare perché è accaduto tutto nella settimana che eravamo lì, sia la partenza dei migranti sia il ritorno, un po’ come nei contenuti del primo libro… Ma è stato particolare anche perché eravamo in Puglia, il primo luogo dell’approdo degli albanesi negli anni Novanta. Questa iniziativa del governo italiano è surreale, perché per portare sedici persone dall’altra parte del mare si spendono cifre assurde, il tutto contro qualsiasi norma del diritto internazionale, così come aveva provato a far il Regno Unito con il Ruanda. La cosa più triste di questo procedimento, oltre allo spostamento di persone trattate come fossero delle scatole, è che si tratta di un’azione contraria al nostro essere cittadini: i cittadini italiani vengono mostrati come persone ostili, inospitali, razziste. In realtà tantissime persone sono impegnate sia per i salvataggi in mare che per l’accoglienza… Personalmente mi vergogno per quello che sta facendo il governo, proprio mentre nel Mediterraneo ci sono problemi giganteschi internazionali…
Nei giorni scorsi hai anche ricordato l’uccisione di Mahasen Al-Khatib, una giovane fumettista palestinese, nella Striscia di Gaza. Chi era?
Mahasen Al-Khatib aveva trentuno anni e in questi mesi, malgrado quello che accadeva intorno alla sua casa, era molto attiva sui social nel raccontare: continuava a disegnare le persone del suo quartiere. Ci sono dei video, ora molto commoventi, nei quali si vede lei che va in giro tra i ruderi per intervistare le persone da cui poi ispirarsi per fare un disegno. Mahasen è stata uccisa da un bombardamento dell’esercito israeliano nel campo profughi di Jabaliya. Con un gruppo di disegnatori italiani stiamo cercando di mantenere vivo il suo ricordo. Lei non era una disegnatrice famosa ma a molti in Palestina era nota per la sua positività e per essere una persona che sapeva resistere all’orrore con la creatività.
Dal libro dedicato ad Assange a quello sulla Libia, passando per tante collaborazioni con organizzazioni della società civile, anche a livello internazionale, sui temi dei diritti umani. Quali sono in questo momento i progetti che stai seguendo?
Il progetto più importante che sto portando avanti dal 7 ottobre 2023 è disegnare per il Comitato di protezione dei giornalisti, che ha sede a New York, tutti i giornalisti che vengono uccisi nel territorio palestinese. Purtroppo sono già oltre cento ritratti… L’idea è di creare una memoria dei volti, si tratta di giornalisti noti come quelli di Al Jazeera ma più spesso di giornalisti di quartiere. Quello in corso è uno dei più grandi massacri di giornalisti in un conflitto. Esiste un vero sistema che cerca di mettere a tacere chi, dentro Gaza, cerca di raccontare. Tra poco non ci sarà più alcuna testimonianza di quello che accade, per questo occorre fare il possibile per proteggerli.
Già, i giornalisti di quartiere, il loro modo di raccontare è legato alla vita di ogni giorno, alle persone comuni, al territorio. Sembra quasi ci sia un legame con quello che fanno tante persone che promuovono l’esperienza dell’accoglienza diffusa, a sua volta molto legata alla vita di ogni giorno e ai territori... Come sostenere, raccontare e proteggere chi tenta di cambiare l’ordine delle cose in questi modi?
È molto complicato. Penso che siamo tutti un’unica società, sia nei quartieri delle nostre città sia in quelli di Gaza… Ho sempre creduto in questa visione senza confini. Per me non è importare disegnare una persona di Torino o una di Theran, l’importante è mettere al centro la privazione che subisce una persona. Un mio caro amico, Zograf, a fine anni Novanta viveva poco fuori Belgrado e in quel periodo lui disegnava sotto le bombe… per poco insomma non ha fatto la fine di Mahasen Al-Khatib. Penso che gli artisti oggi debbano assolutamente muoversi per raccontare, ognuno a proprio modo, cosa succede nel mondo. Non possiamo in questo momento stare qui a disegnare paesaggi… Tutti possiamo fare qualcosa per cambiare questo sistema. Chi lavora sull’accoglienza diffusa, come ad esempio il Gus, cerca di coinvolgere i migranti nella vita della società per vivere lo stesso territorio: è la strada giusta da percorre giorno per giorno.