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I primi otto beneficiari visitano i laboratori di pelletteria e di tessitura a Urbisaglia e Macerata
Hanno deciso di mettersi in gioco e di imparare uno fra i mestieri più belli e complessi in cui l’abilità delle mani è pari alla sensibilità del cuore.
I nostri magnifici otto in terra marchigiana sono Famara, Sanna, Saaed, Hamza, Daniel, John, Kabiru e Samura, i primi iscritti al progetto Atelier indipendenza - laboratorio del fare, diretto all’indipendenza socio-economica dei titolari di protezione internazionale”, finanziato dal Fami, Fondo Asilo, migrazione e integrazione del Ministero dell’interno.
I primi cinque giovani hanno scelto di frequentare il laboratorio di pelletteria La bottega di Lucina, a Urbisaglia, guidato da una maestra paziente e sopraffina, Anna Lucina, che ha aperto le porte del suo mondo ai futuri artigiani della pelle per un iniziale assaggio di tecniche e di attrezzi.
Gli altri tre ragazzi hanno convogliato il loro interesse sull’arte della tessitura visitando a Macerata il Museo della tessitura-la Tela dove ha sede il laboratorio di Maria Giovanna Varagona, storica artigiana e docente delle “magiche” arti dei fili che s’intrecciano dando origine a forme, fogge e colori, alla base del nostro essere umani, alla perenne ricerca di bellezza e di armonia.
Il terzo laboratorio, in fase di messa a punto, sarà dedicato alla ceramica nell’atelier di Appignano dove dirige l’”orchestra” la maestra Elena Buran, un’altra artigiana di grande bravura.
Le tre esperienze artigiane, legate all’antica tradizione della regione adriatica, saranno svolte in tre mesi, a rotazione, dalla squadra dei giovani neofiti a cui, ci auguriamo, si aggiungeranno altri beneficiari.
Il progetto, che coinvolge anche i territori di Puglia e Sardegna, anch’essi in procinto di partire, s’inserisce in quella che viene definita “terza accoglienza”: un insieme di azioni che accompagnano i migranti nella delicata fase di transizione tra la situazione di tutela istituzionale e la piena autonomia. Un passaggio tra i più problematici nei vari progetti messi in campo per favorire l’integrazione perché si tratta di una rinascita e di una “ricrescita” dell’individuo.
La parola Atelier, riferita proprio a questi atti, è intesa come uno spazio virtuale e fisico in cui, condividendo tecniche e saperi, il migrante ha l’opportunità di mettersi o di rimettersi in gioco, sviluppando e completando il proprio progetto professionale e di vita in un contesto favorevole alle relazioni, che lo aiuti a sentirsi parte della comunità e a condurre una vita indipendente, decorosa e piena di valori.
Il progetto inoltre costruisce la sua visione anche sulla casa, uno dei principali livelli in cui si articola e si nutre in genere la vita degli esseri umani di tutto il mondo. Su questo punto la sperimentazione proposta da Gus si rifà al modello di co-housing intergenerazionale, con la coabitazione tra migranti e giovani e tra migranti e anziani autosufficienti. Sono messe in campo anche misure di sostegno abitativo di diversa natura, come l’orientamento all’offerta alloggiativa, la facilitazione all’accesso al mercato abitativo, l’intermediazione con i proprietari, il supporto economico per le utenze e l’acquisto degli arredi.
E tornando ai nostri magnifici otto, una volta completata questa parte del progetto, Famara, Sanna, Saaed, Hamza, Daniel, John, Kabiru e Samura, potranno sperimentare in base alle loro capacità, alle tecniche acquisite e alla serietà dimostrata nel frequentare i corsi, uno stage in botteghe e laboratori del territorio, che avranno bisogno dell’abilità delle loro mani e della sensibilità dei loro cuori.
I più dinamici, infine, potranno decidere con l’aiuto dell’associazione di aprire una propria impresa individuale: perché con l’indipendenza e con il coraggio si può creare un mondo migliore.