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Riferito al Progetto
“I meridionali sono sfaticati”, “Le lesbiche sono dei maschiacci”, “I Rom rubano”, “Alcuni lavori possono farli solo gli uomini”, “I figli dei gay sono tutti gay a loro volta”... I pregiudizi sono ovunque. Vengono trasmessi attraverso discorsi, dialoghi, film, serie tv, giornali, materiali didattici, pubblicità, videogiochi, social etc. e assegnano un determinato posto nel mondo agli esseri umani, in base a quella che identifichiamo come la loro “categoria”.
In pratica, siamo soliti dividere le persone in base alle caratteristiche comuni, per cercare di capire chi fa cosa, chi è, etc. Queste etichette, se da un certo punto di vista possono essere utili per orientarci nel mondo e nella realtà, dall’altra con grande facilità possono scivolare in generalizzazioni, imprecisioni o peggio ancora distorsioni. Quando accade, stiamo amplificando e rendendo lecite le disuguaglianze e le gerarchie fra umani.
Molto spesso i pregiudizi si poggiano su parole che finiscono con “fobia”, xenofobia, grassofobia, puntando l’attenzione sulla paura, anche se la paura forse non c’entra davvero, quanto invece c’entra e gioca un ruolo fondamentale l’avversione irrazionale per persone che vivono la propria individualità in modi che non aderiscono precisamente a quelli che la cultura dominante definisce “norma”.
Sebbene recentemente si osservi un aumento marcato di fenomeni legati all’intolleranza e al razzismo (che si manifestano sia attraverso atti di persecuzione diretta verso individui o comunità intere, sia tramite una diffusione mediatica, con un impatto particolarmente evidente sul web), i pregiudizi non sono un fatto recente, anzi, affondano nella storia, sono onnipresenti e talvolta nascosti, ma spesso così forti che non c’è bisogno neppure di verbalizzarli. La loro eco è tale, infatti, da riflettersi anche nei luoghi che viviamo ogni giorno e negli spazi pubblici, in vari modi: quando, per esempio, progettando lo spazio pubblico non si tiene davvero conto di tutte le diversità che potrebbero abitarlo, quello spazio diventa di default espressione di una tipologia umana dominante e “normalizzata”, riproducendo così dinamiche di potere o classiste. Oppure, nel corso del tempo e attraverso gli avvenimenti, si evolve in uno spazio che porta con sé una memoria positiva o negativa legata a un determinato gruppo sociale.
Ed è proprio sulla mappatura dei luoghi megafono della città di Lecce che si sono concentrati i due laboratori partecipati di Città Fertile, “IU – Itinerari Urbani” (nell’ambito del progetto G.E.A., coordinato dal GUS Gruppo Umana Solidarietà e cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo).
Il 13 e il 19 marzo, a Lecce, presso la sede del Gus, i partner di progetto e i singoli cittadini hanno collaborato e discusso per individuare i posti dove, nei prossimi mesi, immaginare l’installazione di manufatti di ceramica che prevedano dei messaggi pensati per educare alla diversità e all’inclusività considerando l’insieme e l’intreccio delle (tante) identità che ogni persona esprime.
Partendo da una mappa gigante della città sulla quale erano stati evidenziati alcuni spazi di aggregazione o di forte passaggio di persone, come scuole e parchi urbani, è stato chiesto ai partecipanti di individuare dei luoghi significativi in positivo o in negativo: ogni partecipante ha indicato dei luoghi, e ha spiegato, su richiesta dei facilitatori, qual era il senso di cui quel determinato spazio era portatore secondo la propria opinione, stimolando così una riflessione profonda e partecipata sull’esistenza di una “geografia dell’esclusione” degli spazi urbani, in base all’individualità di cui ogni persona è portatrice. Il modo in cui una città è pianificata e organizzata infatti non è neutrale e influenza relazioni sistemi di potere di chi la abita. Oltre all’individuazione dei luoghi, è emersa la necessità, irrimandabile, di creare degli spazi o risemantizzarli in modo che ogni individuo possa sentirsi valorizzato e sicuro nel proprio ambiente, perché la città è di tutti ma esiste solo in funzione della comunità che la abita.
Ma le disuguaglianze si costruiscono anche in modo molto meno evidente eppure forse ancora più capillare delle architetture urbane: attraverso il linguaggio. Perfetta emanazione dei pregiudizi sono infatti gli stereotipi linguistici, e cioè espressioni attraverso le quali si manifestano opinioni negative verso specifici gruppi sociali, etnici o professionali. Gli stereotipi agiscono nel contesto comunicativo, sono veicolati dal linguaggio e allo stesso tempo lo influenzano. Così, contribuiscono a consolidare e perpetuare percezioni distorte o riduttive, influenzando negativamente sia le interazioni quotidiane sia le dinamiche sociali più ampie. Ed è proprio sul linguaggio, o meglio sui linguaggi, visto che sono molteplici i modi di comunicare della contemporaneità, che si è concentrato l’incontro del 6 aprile presso la Masseria Tagliatelle, sempre a cura di Città Fertile nell’ambito del progetto G.E.A.
Anche qua la partecipazione è stata numerosa e propositiva, e sono tanti gli stimoli e le riflessioni emersi e che hanno portato alla redazione del “Decalogo dei linguaggi ostili” (in fondo a questo articolo), il quale non può essere scisso dalla sua premessa, che ne spiega il metodo partecipativo alla base e le scelte compiute.
È chiaramente una proposta, e molte sono le possibilità di strutturare delle regole di buonsenso che lavorino in un’ottica inclusiva della lingua e dell’espressione.
Bisogna considerare vari fattori, tra cui il fatto che la lingua è in continua evoluzione, cambia repentinamente e pertanto dei costumi linguistici possono facilmente invecchiare entro poco tempo o ritornare in uso all’improvviso. Così come è imprescindibile distinguere “lingua” e “linguaggio”.
La “lingua” è l’insieme delle parole e delle strutture grammaticali che utilizziamo, mentre il “linguaggio” si riferisce al modo in cui queste parole vengono usate. Gli stereotipi non risiedono nelle parole in sé, ovvero nella lingua, bensì nel modo in cui le utilizziamo. In altre parole, non sono le parole a contenere pregiudizi, ma l’uso che ne facciamo. È su questo che il 6 aprile abbiamo riflettuto tutti insieme, in conclusione dell’incontro, sull’importanza che se ne prenda coscienza e che l’attenzione al linguaggio, e al modo in cui esso disegna e colora la nostra società, diventi prioritaria. Come scrive Francesco Sabatini, linguista d’eccezione e presidente onorario dell’Accademia della Crusca, “la lingua, presa in sé e per sé, è docile, ma nella mente dei parlanti non è neutra”, pertanto il modo di comunicare e parlare di istituzioni, singoli parlanti o dei media non è innocente perché, in maniera consapevole o distratta, sta comunque favorendo una determinata visione del mondo.
Articolo redatto da Margherita Macrì per Città Fertile
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Foto dei Laboratori
Foto laboratori partecipati di Città Fertile, “IU – Itinerari Urbani”