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Promozione della Cultura dell'Uguaglianza

Nel ricco calendario di iniziative promosse per la Giornata internazionale contro la violenza delle donne dal Gus a Lecce, Andrano, Tiggiano, Uggiano la Chiesa, Casarano, Alghero e Sassari c’è stato il doppio appuntamento con Claudia Fauzia, ideatrice dell'Associazione la Malafimmina: all’interno del Castello Spinola Caracciolo di Andrano, nel primo pomeriggio del 26 novembre è stato organizzato il laboratorio “Terronə a chi?!”, in serata è stata promossa la presentazione del libro "Femminismo terrone. Per un'alleanza dei margini", scritto da Claudia Fauzia e Valentina Amenta. Qualche giorno dopo abbiamo rivolto alcune domande a Claudia Fauzia.

► In Salento c’è stato il tuo laboratorio “Terrone a chi?”. Qual è l’obiettivo generale di quel laboratorio? Com’è andato quello ad Andrano?

Il laboratorio nasce da un’esigenza: dopo quattro anni di impegno sul territorio intorno a quello che abbiamo definito femminismo terrone e dopo circa centocinquanta eventi fatti dal sud al nord, tra presentazioni, laboratori, conferenze, ho la presunzione di sostenere che un problema delle persone del sud è che non sappiamo chi siamo oggi, non abbiamo fatto i conti a sufficienza con il fenomeno della diaspora che da decenni condiziona le vite di questa parte di territorio e che ci ha cambiate. Tantissime persone vivono altrove da tanto tempo oppure sono figlie di persone che vivono in altre regioni, o sono andate via e poi sono tornate, ma non ci siamo raccontati e raccontate quanto queste mescolanze ci hanno cambiato. Non sapendo chi siamo come popolazione, come comunità di intenti politici, non riusciamo a definire con chiarezza che cosa vogliamo. Io ho ascoltato tantissime persone essere chiare e puntuali sulle lamentele rivolte ai propri territori e alle istituzioni, molto meno chiaro e preciso è ciò che si può proporre alla politica, qual è l’orizzonte verso cui andiamo, oltre a una generale giustizia sociale. Insomma cosa vogliamo? Cosa cambierebbe concretamente le nostre vite? Mi sembra che anche il movimento femminista si sia occupato poco in questi ultimi decenni della materialità delle vite. Io invece voglio tornare là: oltre una riflessione culturale serve occuparci di materia, cioè di benessere.
Il laboratorio di Andrano è andato particolarmente bene, non solo perché eravamo in una location di eccezione come il castello di Andrano, ma perché sono giunte persone un po’ da ogni dove, dai posti limitrofi, addirittura da altre province, questo mi ha dato contezza del fatto che la provincia pugliese, tra quelle del sud, è quella più in fermento, più attiva, quella che ha più risorse. È andato molto bene perché è stato raggiunto l’obiettivo che ci siamo prefissati: queste tappe del laboratorio itinerante sono tutte collegate, così, le persone presenti ad Andrano hanno ascoltato quello che hanno detto le persone che hanno partecipato al laboratorio a Catania... Nelle prossima primavera, dopo una ventina di laboratori, avrò raccolto sufficienti dati per rispondere alla domanda “Chi siamo oggi” e per iniziare a tracciare una via verso la quale vogliamo andare. Non so ora se tutto questo si concretizzerà in un movimento politico o più semplicemente una comunità che si interroga...

► Insieme a Valentina Amenta hai scritto il libro “Femminismo terrone. Per un’alleanza dei margini”, per la casa editrice Tlon. Vi richiamate in modo esplicito alla marginalità scelta come luogo di resistenza su cui tanto ha ragionato bell hooks (leggi Elogio del margine, https://comune-info.net/elogio-del-margine/). Cosa possono offrire le marginalità femministe del sud al femminismo e, più in generale, alla costruzione di una nuova cultura politica?

Il sottotitolo del libro accenna a un posizionamento che può non essere chiaro dal titolo del libro. L’alleanza dei margini presuppone che il sud di cui parliamo non sia soltanto un sud geografico ma soprattutto un sud politico: il libro interseca infatti il tema delle periferie del potere, ciò che sta effettivamente è ai margini. Ne parlava bell hooks, ne hanno parlato in altri termini teoriche ma anche antropologi come Vito Teti che parla di restanza che resta una condizione di marginalità interessante. Proprio partendo da Teti, quello che le marginalità del sud e le marginalità del sud femministe hanno da offrire è una contronarrazione che pieghi quella omogeneità italiana che è tanta cara ai fascismi in termini razziali, in termini di intenti, in termini linguistici. L’Italia è un paese molto più vario rispetto a quello che ci siamo raccontate e ha molto più in comune con quella parte di Mediterraneo, il Maghreb, che noi releghiamo a uno stato di subalternità. Siamo molto più meticci di come siamo stati narrati. Forse questo cambio di prospettiva ci aiuterà a ridefinire una geopolitica e anche a contrastare quel femminismo universale bianco che tanto si è imposto nei secoli precedenti, quindi a creare delle alleanze solide con chi vive nel cosiddetto sud globale, oppure, prima di questo, a creare delle alleanze con gli altri sud d’Europa. Sia io che Valentina Amenta abbiamo studiato a Granada, dove, per fare un esempio, c’è un femminismo andaluso molto rilevante e che abbiamo citato nel libro. Ecco, il secondo passo che suggerisce il libro, oltre alla contronarrazione, è quello di cominciare a costruire effettivamente queste alleanze.

► Uno dei filoni chiave intorno ai quali ruotano i tuoi percorsi di ricerca e di azione culturale e politica è mettere in discussione alcune convinzioni sull'identità meridionale. Ma esiste un’identità femminista meridionale? In diversi angoli del mondo da tempo c’è un pensiero critico che mette in discussione il concetto di identità culturale e quella di genere, perché come le culture, le identità sono qualcosa sempre in movimento. Come evitare le contraddizione di un’identità femminista meridionalista? Più in generale, cosa pensi nel concetto di identità?

All’inizio del laboratorio faccio un approfondimento proprio sull’identità, perché il sottotitolo del laboratorio è “Esplorazione dell’identità politica meridionale”. Mi rifaccio al concetto di identità esplicitato da un filosofo sardo, Sebastiano Ghisu, che parla di una identità politica con due caratteristiche: mai statica e sempre collettiva, un’identità dunque che ha a che fare con un gruppo, una collettività che è costantemente in divenire, che legge il passato, come si trasforma nel corso del tempo, e il presente. Se pensiamo che l’identità può essere anche questo allora non dobbiamo avere timore a pensare che una identità dinamica e collettiva, meridionale e femminista possa e debba esistere. Non ci riferiamo quindi a quell’idea di identità che tanto fa paura nel momento in cui parliamo di identità di genere. Nel libro lo esplicitiamo chiaramente. Anche quando citiamo il meridionalismo non ci riferiamo alla corrente meridionalista del Novecento che era tanto interessata al divario economico e per nulla a tutto il resto: noi vediamo il divario economico come una conseguenza di un sistema che, citando Gramsci, ha reso subalterno alcuni territori e torniamo così, ancora una volta, alla materialità delle vite. Lo facciamo da una prospettiva femminista ma anche decoloniale, riprendendo quel filone di studi che ha individuato nel colonialismo e nelle dinamiche di colonialità i problemi e le disuguaglianze di oggi.

► Progetti futuri?

Le presentazioni del libro continueranno fino a marzo, riusciremo ad arrivare anche all’estero, ci hanno contattato dalla Germania e dalla Spagna, faremo dunque uscire la terronità dai confini nazionali… Il laboratorio, se tutto andrà bene, si concretizzerà in un sito internet nel quale saranno raccolti i dati emersi ma anche il primo “Manifesto del femminismo terrone”, scritto coralmente. Intanto mi approccio per la prima volta a una scrittura non saggistica: ad aprile uscirà un romanzo che vuole tradurre tutte queste tematiche in una storia che possa raggiungere alcune persone che non si interessano direttamente alla saggistica. Sarà una sfida.

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