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Gli operatori sardi di Capo Terra e Porto Torres hanno organizzato, in attesa della ripartenza in giallo o in arancione, uno speciale webinair a cui hanno partecipato molti degli utenti del Progetto Atelier: otto giovani tra i venti e i 35 anni a cui sono state chieste una serie di domande circa il loro impegno e le aspettative legate al mestiere di artigiani del cucito.
Un modo virtuale per creare quello spirito di corpo e quella conoscenza, utili al raggiungimento degli obiettivi, sociali e umani.
Maiga, e Chaka, del Mali, sorridenti e partecipativi, hanno raccontato che non vedono l’ora che il corso riparta: tenere impegnati le mani, il cervello e il cuore, è la modalità migliore per superare un apartheid devastante, determinato dalla pandemia.
Anche Mohamed, tunisino, desidera rimettere le mani in pasta e mostra in video i pantaloni di velluto, che ha realizzato durante il lockdown, sottolineando la bravura e la pazienza dell’insegnante Sara.
Veloce, dinamica, con un italiano ancora incerto, ma sicura delle sue idee, la squadra dei sarti, con un pizzico di Sardegna nell’animo, è apparsa compatta e desiderosa di andare in rete, nel senso del goal, dell’obiettivo. E, a un’occhiata sommaria, è sembrato pure che fosse avvezza ad incontri di questo tipo, di solito utilizzati da aziendalisti, insegnanti e dipendenti pubblici.
Che sia arrivato anche il momento degli artigiani in webinar e per di più migranti?
Alla fine della fiera, i giovani dalle mani d’oro hanno chiesto di poter replicare l’esperienza online a distanza di una settimana. “Perché- qualcuno ha detto- ci fa sentire meno e soli e parte di un qualcosa di bello, che possa dare speranza”.
Quel qualcosa di bello – che il Progetto Atelier mira a costruire – è l’autonomia economica, con la possibilità di supportare chi di questi ragazzi avrà il coraggio di mettersi in gioco trasformando le proprie mani in strumenti di successo.